venerdì 8 marzo 2013

Donne Sopraffatte Dalla Violenza E Dalla Rabbia


La violenza sulle donne è da sempre un tema centrale, ma nel corso di quest’anno per  le nostre istituzioni e i mezzi di informazione è stato messo significativamente sotto i riflettori a causa dei numerosi casi di Femminicidio. Di fatto le istituzioni non conoscono i numeri reali della violenza sulle donne , non si conosce né la prevalenza  dei tipi di violenza, né la gravità, né l’incidenza del fenomeno. Molto spesso se ne parla solo quando si verificano gravi episodi come il femminicidio, la psicologia pone solitamente l’attenzione sulla gestione del trauma e delle conseguenza  della violenza subita dalla vittima.

In questa sede cercheremo di capire qual è la condizione mentale della donna vittima di violenza nelle relazioni di coppia e perché persevera a mantenere in piedi una relazione con una persona sadica, depravata, cinica, spietata che gode nel vederla soffrire o umiliata.

Intanto cerchiamo di definire la violenza  contro le  donne , in generale si intende quella perpetrata  in base al genere. Questa forma di violenza  esiste da sempre ed è da sempre stata tollerata. La riscontriamo in tutte le culture ed in forme diverse.

La violenza a cui assistiamo nella nostra società è pervasiva e le forme di abusi sulle donne sono di diversa forma.

Si parla di violenza domestica quando è perpetrata in ambito familiare e consiste in maltrattamenti fisici come schiaffi , pugni, distruzione di oggetti personali ecc., o psicologici come critiche continue, insulti, umiliazioni, denigrazioni anche in presenza di altri, continuo controllo, tentativo di isolare le donne da parenti e amici, minacce contro la persona, contro i figli o la famiglia tutte azioni che vanno a colpire la dignità personale. Si assiste alla violenza economica quando ci sono forme dirette ed indirette di controllo sull’indipendenza economica e  consistono nella limitazione ad avere denaro o nell’ostacolare la disponibilità di denaro, di fare liberamente acquisti, di avere un proprio lavoro o una propria autonomia economica. La maggior parte delle violenze che si verificano all’interno delle mura domestiche sono perpetrate dal proprio compagno o coniuge e riempiono la donna di forti sentimenti di vergogna e di colpa.

Le donne possono subire molestie sessuali in luoghi pubblici: strade, giardini, mezzi pubblici ecc, essere vittime di mobbing sul lavoro, si ritrovano subire abusi sessuali come lo stupro fino ad arrivare al femminicidio che nel 2012 in Italia i dati riportati sono allarmanti.; “una donna uccisa ogni 2 giorni nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono mariti, ex-fidanzati, compagni, comunque persone che sono parte della cerchia affettiva della vittima” (il fatto quotidiano, 2012).

Il femminicidio è l’estrema conseguenza delle molteplici forme di violenza degli uomini contro le donne come già accennato. Ma cosa accade nella mente di una donna che continua a subire botte, ricatti offese, insulti, abusi sessuali nel posto più sicuro, cioè la propria casa  dalla persona che dichiara di amarla e di non poter vivere senza di lei? Qual è la trappola mentale che la ingabbia e non le consente di rompere il legame con il proprio carnefice?

Possiamo ipotizzare che per alcune di queste donne il maltrattamento e l’abuso hanno origini assai lontane: l’infanzia. Forse sono state oggetto di violenza diretta: umiliazioni,derisioni, manipolazioni e mortificazioni perfino molestie o abusi sessuali da parte di uno dei genitori o entrambi, o abbiano assistito a maltrattamenti che hanno subito le loro mamme, sorelle, fratelli. Un’esperienza precoce di “attaccamento trascurante o abusante” può rendere il sistema di difesa della vittima più sensibile, influenzando il suo atteggiamento globale che svilupperà nei confronti di se stessa, degli altri e del mondo (Grossman, 1991). La bambina vittima di violenza o abuso svilupperà non solo delle aspettative negative rispetto ai proprio bisogni di accudimento e conforto, ma anche  molto drammatiche e contraddittorie. Abusi e violenze si traducono in violazioni dei confini personali, sono i confini della mente, del corpo e della sessualità. La bambina vittima di violenza ha sperimentato il disagio e il senso di colpa perché pensa di aver incoraggiato l’abuso o di aver  sperimentato il piacere., ciò suscita forti sentimenti di vergogna, di inadeguatezza e di indegnità. E’ come se formulasse una credenza del tipo “l’abuso  è tutto ciò che mi merito” e nella sua memoria ci siano molti ricordi di “esperienza emozionale di paura e di disgusto; di conseguenza ha pensato sono disgustosa e cattiva (Gilbert, 2007). Le emozioni sono anestetizzate e tutto ciò che la circonda  sembra irreale. Succede che quella bambina una volta adulta può ritrovarsi a scegliere partners violenti, uomini che la manipolano e la picchiano, che la offendono o abusano di lei. E’ la trappola della Sfiducia e dell’Abuso, (J. E. Young,J. S. Koslko,2004), nell’infanzia la vittima  ha imparato a tollerare l’abuso e la violenza verbale, sessuale o fisica perché a perpetrarla è stato qualcuno col quale aveva stabilito un legame affettivo importante, senza quel legame ha pensato di poter essere sola al mondo. E’ una persona che da adulta sperimenta intensi stati di rabbia, che spesso si ritrova nelle relazioni interpersonali in circoli viziosi tipo :Rabbia, mi sento in colpa, mi sento cattivo, rabbia, rimanendo sopraffatta. E’ come se l’intimità e l’amore coincidessero con la violenza e l’abuso, ogni esplosione di rabbia porta la vittima a ri-sperimentare l’abuso e la violenza , la vergogna e la colpa, emozioni che le appartengono da sempre.

Cosa potrebbe fare questa donna?  Uscire dal silenzio, non continuare a vivere nel terrore di cosa potrebbe accadere da un momento all’altro nella propria casa, rompere il legame distruttivo attuale e diventare più consapevole della propria storia di abuso e violenza. Sicuramente può essere di aiuto parlarne con persone fidate o rivolgersi ai centri specializzati,  cercare un supporto esterno, iniziare solo relazioni basate sul rispetto reciproco, diventare consapevole della propria rabbia e cercare di rompere i circoli viziosi che mantengono attivi gli stati emotivi intensi.

 

Dott.ssa Ofelia Panico

Psicologa Psicopterapeuta cognitivo-comportamentale

domenica 3 marzo 2013

L’Ansia e il Panico


L’Ansia e il Panico

L’ansia è un’emozione che l’individuo sperimenta quando crede di essere esposto ad una minaccia, più o meno imminente e grave, che può essere riferita alla vita fisica (es. minaccia di morte), all’esistenza psicologica (es. perdita di libertà) o ad un valore che l’individuo identifica con la propria esistenza (es. patriottismo).

L’ansia è, dunque, uno stato emotivo anticipatorio di un pericolo futuro che può essere interno o esterno, ed è caratterizzata da apprensione e preoccupazione accompagnate da tensione. Quando l’individuo percepisce che presto avverrà qualcosa di molto grave in grado di compromettere i suoi scopi personali, sperimenta ansia. L’ansia patologica si differenzia da quella “normale” per il fatto che il soggetto ha il desiderio e il potere di modificare la sua risposta ansiosa, ma a differenza di ciò che accade nelle normali ansie, non lo fa, in quanto tende a sovrastimare il pericolo e a sottostimare la propria capacità di fronteggiarlo, attivando il cosiddetto “schema di pericolo”, ossia uno schema cognitivo connesso alle sensazioni di pericolo a causa del quale la realtà viene percepita dal soggetto come pericolosa, e il proprio sé come estremamente vulnerabile (Beck, 1985).

L’ansia aumenta quando una persona avverte il danno potenziale al suo bilancio scopistico come imminente, molto probabile e con elevato potere di compromissione.

Una volta attivata la valutazione di pericolo, si crea una sorta di circolo vizioso che rinforza le manifestazioni di ansia; i sintomi ansiosi, infatti, sono essi stessi una fonte di minaccia, possono condizionare il comportamento dell’individuo ed essere interpretati, ad esempio, come segnali dell’esistenza di un grave disturbo fisico o psicologico. Tali effetti accrescono il senso di vulnerabilità dell’individuo e, di conseguenza rinforzano l’iniziale reazione ansiosa inducendo una serie di risposte sfavorevoli, le quali a loro volta, non fanno altro che esasperare la valutazione di pericolo.

L’attacco di panico è la forma più acuta e intensa dell’ansia, ed ha le caratteristiche di una crisi che si esaurisce in circa dieci minuti. Il primo attacco di panico si manifesta quasi sempre  durante un periodo in cui tensione e stress sono elevati; i fattori stressanti possono essere psicologici, ad esempio disaccordo con il coniuge, morte o malattia in famiglia, problemi sentimentali, pressioni sul lavoro, oppure fisici, come malattie fisiche, uso di alcolici o droghe, mancanza di sonno. L’ansia è una conseguenza frequente ma non inevitabile di entrambe le categorie di fattori stressanti. Anche quando si manifesta in modo evidente, non sempre è seguita da un attacco di panico, mentre al contrario si possono avere attacchi di panico anche quando l’ansia è apparentemente lieve e i fattori di stress poco evidente.

Il panico è uno stato emotivo indirizzato alla gestione di un evento traumatico in atto, è caratterizzato da un soggettivo senso di estrema paura o di morte imminente.

L’attacco di panico si scatena quando una persona è molto spaventata da situazioni esterne (es. stare in un autobus a porte chiuse) o stimoli interni (es. l’accelerazione del battito cardiaco) innocui, ma soggettivamente percepiti come minacciosi; il senso di minaccia (emozione ansia/paura) è così intenso da produrre sintomi sia fisici, che mentali (cognitivi). Tra i sintomi fisici (o manifestazioni fisiologiche dell’ansia) possiamo trovare:  palpitazioni o tachicardia, sensazione di asfissia o di soffocamento, dolore o fastidio al petto, sensazioni di sbandamento o di svenimento, disturbi addominali o nausea, sensazioni di torpore o di formicolio, brividi di freddo o vampate di calore, tremori o scosse, bocca secca o nodo alla gola, sudorazione accentuata. Tra i sintomi mentali o cognitivi più frequenti troviamo: sensazione di irrealtà (de-realizzazione) o sensazione di essere staccati da se stessi (depersonalizzazione), confusione mentale, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire.

Il soggetto con panico, dunque, non sente più la minaccia come imminente, ma come presente, si sente esattamente dentro la situazione temuta.

Durante un attacco di panico, la persona di solito non riesce a capire che cosa gli stia accadendo; nel tentativo di darsi una spiegazione, inizia a pensare che la causa sia dentro di sé e a produrre, così, una serie di pensieri disfunzionali.

Queste interpretazioni, ovviamente, spaventano ancora di più la persona e nell’arco di pochi minuti  l’ansia raggiunge il picco più alto di intensità, iniziando gradualmente a decrescere, fino a quando il soggetto sperimenta uno stato di sfinimento fisico e mentale. Le sensazioni provate durante il primo attacco di panico sono così spiacevoli, che possono indurre nel soggetto il timore di riprovarle; chi presenta il disturbo, dunque, sviluppa una “paura della paura” (ansia anticipatoria).

La persona può cercare, quindi, di mettere in atto dei comportamenti volti a prevenire il verificarsi di altri attacchi di panico: tenderà ad evitare le situazioni che teme possano provocarli (comportamenti di evitamento) o le affronterà soltanto dopo aver preso delle precauzioni (comportamenti protettivi).

Tra i comportamenti di evitamento più diffusi si riscontrano: non utilizzare automobile, autobus, metropolitana, treno e aereo; non frequentare luoghi chiusi (es. cinema); non allontanarsi da zone considerate sicure (es. casa); non compiere sforzi fisici.

I comportamenti protettivi più diffusi risultano essere: portare con sé farmaci per l’ansia; muoversi solo in zone in cui sono presenti strutture mediche; allontanarsi da casa solo se accompagnati da persone di fiducia; tenere sempre sotto controllo le uscite di sicurezza.

 

Riassumendo…

Paura e Ansia sono considerate un’unica emozione  in quanto entrambe segnalano la presenza di un pericolo e tutelano la nostra sopravvivenza. Tuttavia, la paura è una reazione di allarme ad un pericolo reale e ben identificabile, l’ansia è una sensazione di attesa di qualcosa di indefinito o un’irrequietezza psichica, e ciò che spaventa e minaccia non è un pericolo reale ed identificabile, ma potenziale. Se, ad esempio vedo un leone provo PAURA, se, invece, mi hanno detto che un leone è scappato e mi trovo nelle vicinanze dello zoo provo ANSIA.

Paura e Ansia predispongono l’individuo ad una reazione di attacco o fuga; infatti, l’individuo che si trova di fronte ad un pericolo può reagire in due diversi modi: attraverso l’eliminazione diretta del pericolo  o attacco, o attraverso l’allontanamento dal pericolo o fuga.

In entrambi i casi, sia se devo aggredire sia se devo scappare, ho bisogno di una rapida produzione di energia fisica.

Il nostro organismo, quindi, di fronte ad un pericolo brucia più energie del solito perché deve correre o lottare; per questo motivo si attiva l’iperventilazione, ossia una modalità di respirazione di frequenza e/o profondità eccessive, in grado di peggiorare i sintomi degli attacchi di panico e dell’agorafobia. Durante la reazione di attacco o fuga il respiro si fa più frequente e le narici e i polmoni si espandono (iperventilazione), il ritmo cardiaco e la pressione del sangue aumentano (tachicardia), i muscoli entrano in tensione, si diventa “bianchi di paura” in quanto il sangue viene dirottato ai muscoli, si comincia a sudare per contrastare l’aumento di temperatura corporea dovuto alla attività fisica, si ha una sensazione di nausea o di nodo allo stomaco, in quanto la digestione si ferma, la bocca diventa secca e produce meno saliva, la mente si concentra sul pensiero di come evitare il pericolo, tutto il resto passa in secondo piano.

Dunque…… le modificazioni fisiologiche della “reazione di attacco e fuga” sono le stesse dell’attacco di panico.

In certe situazioni  l’ansia, se non è eccessiva, può essere funzionale. Un certo grado di ansia, infatti, può essere utile, non solo in presenza di un pericolo fisico, ma anche in alcune attività che richiedono  impegno, concentrazione ed attenzione a non sbagliare.

L’ansia eccessiva, al contrario, compromette ogni tipo di prestazione, perché la persona si concentra sui sintomi dell’ansia anziché sul compito, prova l’impulso di fuggire e finisce solo per sbagliare più facilmente.

Chi soffre di panico, infatti, “diffida” spesso di ogni forma d’ansia, anche di quella utile.

L’ansia non va eliminata dalla nostra vita, ma possiamo regolarla e modularla attraverso il ragionamento.

Una pronta risposta di attacco e fuga era particolarmente utile nelle condizioni di vita dei nostri antenati, che dovevano gestire  pericoli quali l’aggressione da parte di un nemico armato o la carica di un toro; ma porta a problemi seri quando si attiva troppo facilmente o nel momento sbagliato, come succede nella maggior parte delle situazioni del mondo moderno. Una persona troppo sensibile ai segnali di allarme può provare ansia mentre fa la fila alla banca o mentre prende il cappuccino al bar e produrre una reazione di attacco e fuga senza che ce ne sia l’utilità.

In preda all’ansia può, quindi, interpretare  l’attivazione fisiologica come segnale di una catastrofe imminente e produrre una serie di pensieri catastrofici: “Mi sentirò male!” o “Sto per perdere il controllo della situazione!!”, in assenza di un pericolo reale.
Dott.ssa Chiara Bruschi
Psicologa