sabato 9 aprile 2016


 
 
 
 
 
Adolescenza…
                                               tra caos e rigidità

 

                                                                                                          “Adolescenza.
La più delicata delle transizioni”

Victor Hugo

 

L’adolescenza è una fase della vita straordinaria, ma allo stesso tempo è anche fonte di disorientamento, è la fase di  passaggio dallo status sociale di bambino a quello di adulto, che varia per durata, qualità e significato da una civiltà all’altra e, all’interno della stessa civiltà, da un gruppo sociale all’altro.

essa è compresa all’incirca tra i 12 anni e i 24 (Daniel J. Siegel 2015), periodo in cui il cervello è soggetto a numerosi cambiamenti. Per decenni molti miti sono sorti intorno a questa fase evolutiva, fra cui la convinzione che gli ormoni impazziti facciano andare fuori di testa i ragazzi, ma oggi sappiamo che il ruolo degli ormoni è marginale, ma la realtà è che si verificano  importanti cambiamenti che caratterizzano lo sviluppo del cervello. Un altro falso mito è che l’adolescenza è solo una fase di immaturità e che bisogna solo attendere che passi, in verità si tratta di una fase evolutiva durante la quale i ragazzi possono esprimere al meglio le loro potenzialità. Ultima falsa credenza è che i ragazzi in questa fase di transizione passino da uno stato di dipendenza ad uno di totale indipendenza dalle figure di attaccamento, oggi si parla più correttamente di  interdipendenza per evidenziare quanto le relazioni affettive siano caratterizzate da dipendenza reciproca. Tutto ciò comporta che la visione dell’adolescente è radicalmente cambiata rispetto a qualche tempo fa. Resta invariata l’idea che in questa fase di vita il ragazzo/a si pone una serie di domande:
·Chi Sono?
·Come mi vedono gli altri?
·Qual è il mio posto nel mondo?
·Quanto valgo?
Tali domande guidano l’adolescente nella sua maturazione nelle capacità di analisi e di introspezione, nella definizione della propria identità, dei valori e delle scelte, consentendo una progressiva riorganizzazione, pur nell’ambito di situazioni spesso ancora intricate e confuse. È la ricerca della risposta a queste domande che permette all’individuo di trovare nuovi asseti psichici che hanno come risultato una riorganizzazione complessiva del proprio modo di approcciare alla vita al fine di riuscire ad acquisire le necessarie capacità di coping che lo  favoriranno ad affrontare le difficoltà e le criticità che si presenteranno nel corso della vita di adulto. 

Nell’ambito degli studi classici l’adolescenza è da sempre considerata secondo due modalità interpretative:

·         come evoluzione, cogliendo gli aspetti di continuità con il passato
·         come crisi, cogliendo la dimensione di peculiarità e cambiamento sia rispetto al passato, l’infanzia, sia rispetto al futuro, l’età adulta.

Oggi è  abbandonata la rappresentazione sociale di questa fase della vita come “crisi” caratterizzata da conflitti e da ribellioni, gli studi si indirizzano su una visione dell’adolescente come protagonista  e costruttore del proprio percorso evolutivo. In sostegno a questa prospettiva recenti ricerche epidemiologiche non hanno confermato l’idea per cui tutti gli adolescenti attraversino una fase di tumulto o di crisi violenta (Coleman e Hendry,1990). In USA si è visto che il 70% dei ragazzi ha una relazione positiva con i genitori (Steinberg, 2004).

Nel corso del convegno affronteremo queste tematiche evidenziando come questa fase di vita caratterizzata da caos e rigidità i ragazzi  possano passare attraverso il fiume dell’integrazione,  intenso come rispetto delle differenze,  capacità di ascolto empatico, equilibrio interiore e interpersonale. Concludendo, questa è una fase di vita in cui i ragazzi sono alla continua ricerca di novità, , si sentono più coinvolti nelle relazioni sociali e interpersonali, vivono le emozioni con maggiore intensità e pensano fuori dagli schemi, il compito di noi adulti è fungere da guida e far sentire loro visti, , protetti, , confortati e sicuri. Diventiamo il porto nel quale attraccare quando ne hanno la necessità ma ripartire ogni volta verso le proprie mete.
 
Ofelia Panico
Chiara Bruschi
 



Qualche riflessione su ANSIA E PANICO

 

Ciò che è peggio nel peggio, è l’attesa del peggio

(Daniel Pennac)

 

L’interesse per i Disturbi d’Ansia e di Panico è aumentato notevolmente negli ultimi anni, poiché questi sembrano essere i principali motivi di consultazione specialistica nell’ambito dei problemi psicologici.

L’ansia è definita generalmente come uno stato di tensione anticipatoria ad un evento percepito come minaccioso, come uno stato di disagevole apprensione.

 Paura e Ansia sono emozioni complesse che segnalano all’individuo la preoccupazione e l’attesa per qualcosa d'indefinito, di spiacevole e, soprattutto, minaccioso. Come tutte le emozioni anche l’ansia è un’emozione funzionale ed indispensabile per la sopravvivenza poiché segnala la percezione soggettiva di minaccia imminente per obiettivi importanti che vogliamo perseguire o per la nostra incolumità fisica. Tuttavia, la sovrastima del pericolo o la sottostima della capacità di farvi fronte, contribuiscono ad accrescere i sintomi d’ansia che, a loro volta, diventano fonte di minaccia per l’individuo che li sperimenta. Quando lo stato d'ansia è particolarmente intenso e prolungato nel tempo può causare, com’è facile immaginare, una quasi totale compromissione della vita relazionale e dell’autonomia. L’ansia patologica può assumere diverse forme, classificabili sulla base dei sintomi presentati e della specifica compromissione che ne deriva.

 
Secondo il DSM IV una persona su 25 soffre di attacchi di panico a seconda del sesso di appartenenza (un uomo ogni due donne), della fascia d’età (più del 35% nell’età compresa tra i 25 e i 35 anni) e altri fattori come le dimensioni della città e il paese in cui si vive. Per esempio, da una recente ricerca è emerso che in una città come Roma è più facile avere un attacco di panico rispetto ad altre città italiane più piccole e tranquille.

 L’ansia è uno stato di apprensione innescato a qualche valore che l’individuo ritiene essenziale per la vita, la minaccia può essere riferita alla vita fisica (es. minaccia di morte) o all’esistenza psicologica (es. perdita di libertà) o ancora ad un valore che l’individuo identifica con la propria esistenza (es. patriottismo).

Le persone si differenziano rispetto alla predisposizione all’ansia e /o all’intensità del timore che tali sensazioni possono suscitare in loro.
L’ansia coincide con uno stato emozionale negativo strettamente connesso alla paura in molti casi, infatti questi due termini vengono usati in modo intercambiabile.
Il termine PAURA viene utilizzato per descrivere una reazione emozionale alla percezione di un pericolo specifico, le reazioni di paura sono caratterizzate da uno stato di emergenza.
Le paure intense specifiche  sono definite FOBIE.

PAURA e ANSIA sono considerate un’unica emozione perché entrambe segnalano la presenza di un pericolo e tutelano la nostra sopravvivenza, ma la paura è una reazione di allarme ad un pericolo reale e ben identificabile; l’ansia è una sensazione di attesa di qualcosa di indefinito o un’irrequietezza psichica. In uno stato di ansia ciò che spaventa e minaccia non è un pericolo reale ed identificabile, ma potenziale. Facciamo un esempio che può aiutarci a comprendere tale differenza: “Se vedo un leone”, provo paura, se invece: “Mi hanno detto che un leone è scappato e mi trovo nelle vicinanze dello zoo” provo ansia.
Secondo Wells le componenti cognitive dell’ansia sono le seguenti

·         imminenza (immediatezza temporale)
·         probabilità (avverrà quasi con certezza)
·         gravità (comporterà una compromissione in un’area importante della propria vita).

Hanno l’effetto di ridurre l’ansia:

·         l’autoefficacia percepita, ossia la capacità avvertita per far fronte alla situazione in corso
·         la disponibilità percepita di aiuti esterni (es. famiglia, amici)

 Inoltre, Wells  individua anche  due forme di preoccupazione cronica:

·         Gli eventi esterni giornalieri (es. le interazioni con altre persone)
·         Gli eventi interni non cognitivi, come la preoccupazione generata  da sensazioni fisiche (es. tachicardia).

Ciò che caratterizza la preoccupazione  sono le rimuginazioni , catene di pensiero e immagini associate a stati di ansia  e irritabilità volti ad evitare eventi catastrofici.

L’ansia è una conseguenza di fattori stressanti. Qualche volta, come già accennato,  è seguita da un attacco di panico.  Questi ultimi si possono presentare anche quando i fattori di stress sono poco evidenti e apparentemente gli stati di ansia  sembrano  lievi.

Paura E Ansia predispongono l’individuo ad una reazione di attacco o fuga.

L’individuo che si trova di fronte ad un pericolo generalmente può reagire in due diversi modi:

1) Attraverso l’eliminazione diretta del pericolo o attacco.
2) Attraverso l’allontanamento dal pericolo o fuga.

 Gli attacchi di panico appaiono soprattutto durante l’adolescenza o la prima età adulta e, anche se le cause specifiche non sono chiare, sembra esserci un nesso con le più importanti fasi di transizione della vita che portano inevitabilmente una certa quantità di stress e ansia.

L’attacco di panico è la forma più acuta e intensa dell’ansia ed ha le caratteristiche di una crisi che si esaurisce in massimo 40 minuti , si scatena quando una persona è molto spaventata da situazioni esterne (es. stare in un autobus a porte chiuse) o stimoli interni (es. l’accelerazione del battito cardiaco) innocui, ma che soggettivamente sono percepiti come minacciosi.

Durante un attacco di panico il senso di minaccia (emozione ansia/paura) è così intenso da produrre sintomi sia fisici, che mentali (cognitivi),  il soggetto di solito non riesce a capire che cosa gli stia accadendo.

Nel tentativo di darsi una spiegazione, inizia a pensare che la causa sia dentro di sé e a produrre, così, una serie di pensieri disfunzionali del tipo “sto per morire per un attacco cardiaco”.

L’ attacco di panico si manifesta con sintomi fisici (o manifestazioni fisiologiche dell’ansia) quali:

       palpitazioni o tachicardia;
       sensazione di asfissia o di soffocamento;
       dolore o fastidio al petto (es. senso di oppressione toracica);
      sensazioni di sbandamento o di svenimento (es. debolezza alle gambe, vertigini, visione annebbiata);
       disturbi addominali o nausea;
       sensazioni di torpore o di formicolio;
       brividi di freddo o vampate di calore;
       tremori o scosse;
       bocca secca o nodo alla gola;
       sudorazione accentuata

Durante un attacco di panico, la persona di solito non riesce a capire che cosa gli stia accadendo.

Nel tentativo di darsi una spiegazione, inizia a pensare che la causa sia dentro di sé e a produrre, così, una serie di pensieri disfunzionali.

I sintomi mentali (o sintomi cognitivi) hanno a che fare con la sensazione di irrealtà (de - realizzazione) o sensazione di essere staccati da se stessi (depersonalizzazione);la confusione mentale; la paura di perdere il controllo o di impazzire; la paura di morire. Queste interpretazioni, ovviamente, spaventano ancora di più la persona (chi non si impaurirebbe all’idea di avere un infarto?). Nell’arco di pochi minuti, così, l’ansia raggiunge il picco più alto di intensità e inizia gradualmente a decrescere, fino a quando il soggetto sperimenta uno stato di sfinimento fisico e mentale.

Le sensazioni provate durante il primo attacco di panico sono così spiacevoli, che possono indurre nel soggetto il timore di riprovarle; chi presenta il disturbo, dunque, sviluppa una “paura della paura” (ansia anticipatoria).

La persona può cercare, quindi, di mettere in atto dei comportamenti volti a prevenire il verificarsi di altri attacchi di panico: tenderà ad evitare le situazioni che teme possano provocarli (comportamenti di evitamento) o le affronterà soltanto dopo aver preso delle precauzioni (comportamenti protettivi).

Tra i comportamenti di evitamento più diffusi si riscontrano:

¨  non utilizzare automobile, autobus, metropolitana, treno e aereo;

¨   non frequentare luoghi chiusi (es. cinema);

¨   non allontanarsi da zone considerate sicure (es. casa);

¨   non compiere sforzi fisici.

Tra i comportamenti protettivi più diffusi ci sono:

¨   portare con sé farmaci per l’ansia;

¨   muoversi solo in zone in cui sono presenti strutture mediche;

¨   allontanarsi da casa solo se accompagnati da persone di fiducia;

¨   tenere sempre sotto controllo le uscite di sicurezza.

Nel corso della vita, in periodi di stress emotivo, può accadere a tutti di avere qualche sporadico attacco di panico, ma ciò non significa che si soffre di Disturbo di Panico.

Il paziente  affetto da Disturbo di Panico presenta:

¨   attacchi di panico inaspettati e ripetuti (almeno uno al mese);

¨   si preoccupa sia dell’eventuale ripresentarsi di questi che delle loro implicazioni (es. gravi malattie come cardiopatia ed epilessia, totale perdita di controllo della propria mente o pazzia).

Quando ci riconosciamo in una condizione analoga diventa fondamentale chiedere l' aiuto ad uno specialista.

                                                                                             

                                                                                              Dott.ssa Ofelia Panico

mercoledì 23 marzo 2016

PRIMI PASSI CON LA PASTA MADRE


La nostra associazione A.PSY.N. ha organizzato un ciclo di tre incontri per conoscere meglio la pasta madre, capire come rinfrescarla e cominciare ad impastare pane e pizza.

Chi di noi non ha mai sentito parlare della cosiddetta pasta madre o lievito madre?

È il lievito per eccellenza, utilizzato fin dall’antico Egitto, il suo utilizzo è stato riportato anche nell’antica Grecia e nell’antica Roma. L'introduzione di nuovi sistemi di macinazione, l'impiego di macchine per impastare e raffinare, di forni a gas ed elettrici a cottura continua hanno caratterizzato l'era industriale con l'uso anche di nuovi lieviti e di nuovi ingredienti. Ma la tradizione del lievito naturale è sopravvissuta alle novità dell'era industriale grazie alle sue caratteristiche superiori. Il consumatore di oggi infatti è molto informato e preferisce i prodotti sani e naturali e il pane a "lievitazione naturale" è la massima espressione qualitativa del pane.

A differenza del cosiddetto lievito di birra, che comprende un solo tipo di lievito (Saccharomyces), la pasta madre consiste di un impasto di farina e acqua acidificato da un complesso di lieviti e batteri lattici naturali in grado di avviare la fermentazione. A differenza del lievito di birra, la lievitazione acida è molto più lenta e richiede una lavorazione più complessa.

Lo svantaggio maggiore dell'utilizzo del lievito naturale a livello industriale è costituito dalla difficoltà di gestione e dai lunghi tempi di lievitazione richiesti. Il pane a lievitazione naturale ha però degli indubbi vantaggi sia da un punto di vista organolettico che nutrizionale.

·         la proteolisi operata dai batteri lattici comporta una maggiore digeribilità delle proteine;

·         gli aminoacidi rilasciati dalla proteolisi batterica sono molto di più rispetto alla lievitazione con lievito di birra

·         migliore lavorabilità dell'impasto;

·         aroma più intenso, sapore e fragranza particolari, che dipendono soprattutto dal tipo di fermentazione, dalla presenza di acido lattico e acetico e anche dai ceppi di microorganismi che compongono il lievito;

·         biodisponibilità maggiore dei minerali

·         Indice glicemico circa la metà del pane tradizionale.

·         Parziale pre-digestione del glutine durante la fermentazione. Migliore tollerabilità e migliore digeribilità.

·         Il pane prodotto con la pasta madre, inoltre, si conserva più a lungo rispetto a quello ottenuto col lievito di birra.

L’utilizzo della pasta madre sembra più difficile e laborioso rispetto ai lieviti chimici o al lievito di birra, ma conoscere le sue qualità e capire come utilizzarlo, può dare la possibilità di “panificare” con grande soddisfazione e con la consapevolezza di fare un pane buono e salutare.
 
 
Dott.ssa Vanessa Pacelli
Biologa Nutrizionista

 

domenica 6 marzo 2016

BAMBOLE DI CARTA 2.0 Promuovere l’accettazione del corpo e prevenire i disturbi alimentari


Risultati immagini per anoressia e bulimia

I disturbi del comportamento alimentare sono in continua crescita nella nostra società, ma la loro conoscenza è ancora scarsa. Informazioni sbagliate impediscono a molte persone di riconoscere e affrontare il problema in modo adeguato.
Nella classificazione più recente del DSM V, sono stati inseriti molteplici disturbi alimentari. I più conosciuti sono l’anoressia nervosa, la bulimia e il disturbo binge eating (da alimentazione incontrollata). L’anoressia nervosa venne descritta per la  prima volta nel 1694 da Richard Morton. Colpisce lo 0,6% ca. delle adolescenti e delle giovani donne dei paesi occidentali.  La bulimia nervosa venne descritta per la prima volta nel 1979 da Gerald Russel. Colpisce l’1% delle giovani donne e adolescenti, mentre è molto rara nei maschi. L’età di insorgenza dei disturbi alimentari si sta abbassando sempre più: ci sono casi di anoressia nervosa in bambine intorno agli 8-9 anni.

Quali sono le cause? La risposta non è semplice, perché in realtà ancora non si conoscono le cause dei disturbi alimentari. La ricerca più recente sembra indicare una combinazione di predisposizione individuale e genetica e fattori di rischio ambientali.
La società occidentale è sicuramente uno dei fattori di rischio generali in quanto la spinta verso la magrezza e il ruolo centrale della bellezza corporea sono diventati fondamentali. Infatti, da riviste di moda, dove sono presenti immagini spesso ritoccate di donne molto magre, programmi televisivi, si percepisce come la magrezza sia diventato un vero e proprio valore.

Diversi studi sono stati condotti negli anni, tutti rivolti alla dimostrazione di come immagini e modelli “perfetti”, provochino crescente insoddisfazione e spinta verso la ricerca di un corpo “da copertina”.
Per raggiungere questo ideale di magrezza, l’attenzione si sposta verso l’alimentazione. La dieta diventa l’unico modo per raggiungere questo ideale. Non è una dieta salutare, ma una dieta ferrea, determinata da regole rigide e estreme, ad es. saltare i pasti, eliminare intere categorie di cibi pensando che possano ingrassare, riducendo drasticamente le quantità. Questa rigidità può portare ad abbuffate alle quali seguono comportamenti di compenso estremi (vomito autoindotto, esercizio fisico eccessivo, uso improprio di lassativi o diuretici). Le regole dietetiche diventano sempre più rigide fino ad arrivare a non mangiare più in compagnia di altri, mangiare sempre e comunque meno degli altri, non assumere cibi di composizione calorica incerta o cucinato da altri, non mangiare quando non si è affamati o non si è consumato abbastanza, mangiare sempre più tardi possibile, non andare mai al ristorante o in pizzeria. Sono regole queste, che rendono impossibile qualsiasi tipo di relazione sociale.
Inoltre la denutrizione che ne consegue porta inevitabilmente a restringere tutti gli altri interessi (amicizie, scuola, sport...) fino a far diventare interesse centrale la preoccupazione per il peso, per la forma del corpo e per l’alimentazione.
Negli ultimi anni, questa ricerca di un corpo perfetto non riguarda più le sole donne, ma anche gli uomini, sempre più ossessionati dalla forma del proprio corpo, dalla loro fisicità e dall’immagine. Sembra che anche per il mondo maschile  la  fiducia in se stessi, l’autostima, l’autoefficacia, la sensazione di avere sotto controllo la propria vita e la propria vita sessuale passa per la forma del proprio corpo. Tuttavia, proprio come per le anoressiche il raggiungimento di tale obbiettivo diventa un’ossessione  e porta prima o poi a perdere il controllo sul proprio stile di vita.
I criteri della  bellezza maschile sono cambiati, anche  gli uomini sono bombardati da immagini di film, pubblicità e televisione che ritraggono uomini  più grandi dalla vita in su. Gli stessi giocattoli per i bambini mandano implicitamente messaggi che avere super poteri e super forza è ciò che conta e si ottiene solo con un corpo supermuscoloso. 
La dismorfia muscolare è una condizione emergente che colpisce soprattutto i culturisti maschi, sono ossessionati dall’avere un corpo muscoloso e scolpito. Si tratta di vere e proprie  compulsioni: passare ore in palestra, sperperando una quantità eccessiva di denaro in inutili integratori sportivi, anormali abitudini alimentari o anche abuso di sostanze. La crescita del body building  è stata legata ad una crescente preoccupazione per l'immagine del corpo tra la popolazione maschile. Si stima che, probabilmente, il 10% degli uomini che frequentano una  palestra hanno dismorfia muscolare, che vanno da forme  lievi a quelle più gravi.
Si parla di Bigoressia o Vigoressia, descritta per la prima volta da Harrison Pope Jr. È la malattia chiamata” fratello maggiore dell'anoressia nervosa”, perché il vigoressico desidera essere "enorme" mentre l'anoressica deidera essere "sottile". Si tratta di una condizione  sotto-diagnosticata, perché essere grandi e palestrati risulta socialmente accettabile.

Questo convegno si pone come obiettivo di informare e di come riconoscere i primi segnali di un comportamento anomalo che potrebbe portare allo sviluppo di un disturbo alimentare. La prevenzione o l’intervento precoce sono fondamentali per riuscire ad arrestare il dilagare dei disturbi alimentari.

Dott.ssa Vanessa Pacelli Biologa Nutrizionista

Dott.ssa Ofelia Panico Psicologa Psicoterapeuta