mercoledì 23 marzo 2016

PRIMI PASSI CON LA PASTA MADRE


La nostra associazione A.PSY.N. ha organizzato un ciclo di tre incontri per conoscere meglio la pasta madre, capire come rinfrescarla e cominciare ad impastare pane e pizza.

Chi di noi non ha mai sentito parlare della cosiddetta pasta madre o lievito madre?

È il lievito per eccellenza, utilizzato fin dall’antico Egitto, il suo utilizzo è stato riportato anche nell’antica Grecia e nell’antica Roma. L'introduzione di nuovi sistemi di macinazione, l'impiego di macchine per impastare e raffinare, di forni a gas ed elettrici a cottura continua hanno caratterizzato l'era industriale con l'uso anche di nuovi lieviti e di nuovi ingredienti. Ma la tradizione del lievito naturale è sopravvissuta alle novità dell'era industriale grazie alle sue caratteristiche superiori. Il consumatore di oggi infatti è molto informato e preferisce i prodotti sani e naturali e il pane a "lievitazione naturale" è la massima espressione qualitativa del pane.

A differenza del cosiddetto lievito di birra, che comprende un solo tipo di lievito (Saccharomyces), la pasta madre consiste di un impasto di farina e acqua acidificato da un complesso di lieviti e batteri lattici naturali in grado di avviare la fermentazione. A differenza del lievito di birra, la lievitazione acida è molto più lenta e richiede una lavorazione più complessa.

Lo svantaggio maggiore dell'utilizzo del lievito naturale a livello industriale è costituito dalla difficoltà di gestione e dai lunghi tempi di lievitazione richiesti. Il pane a lievitazione naturale ha però degli indubbi vantaggi sia da un punto di vista organolettico che nutrizionale.

·         la proteolisi operata dai batteri lattici comporta una maggiore digeribilità delle proteine;

·         gli aminoacidi rilasciati dalla proteolisi batterica sono molto di più rispetto alla lievitazione con lievito di birra

·         migliore lavorabilità dell'impasto;

·         aroma più intenso, sapore e fragranza particolari, che dipendono soprattutto dal tipo di fermentazione, dalla presenza di acido lattico e acetico e anche dai ceppi di microorganismi che compongono il lievito;

·         biodisponibilità maggiore dei minerali

·         Indice glicemico circa la metà del pane tradizionale.

·         Parziale pre-digestione del glutine durante la fermentazione. Migliore tollerabilità e migliore digeribilità.

·         Il pane prodotto con la pasta madre, inoltre, si conserva più a lungo rispetto a quello ottenuto col lievito di birra.

L’utilizzo della pasta madre sembra più difficile e laborioso rispetto ai lieviti chimici o al lievito di birra, ma conoscere le sue qualità e capire come utilizzarlo, può dare la possibilità di “panificare” con grande soddisfazione e con la consapevolezza di fare un pane buono e salutare.
 
 
Dott.ssa Vanessa Pacelli
Biologa Nutrizionista

 

domenica 6 marzo 2016

BAMBOLE DI CARTA 2.0 Promuovere l’accettazione del corpo e prevenire i disturbi alimentari


Risultati immagini per anoressia e bulimia

I disturbi del comportamento alimentare sono in continua crescita nella nostra società, ma la loro conoscenza è ancora scarsa. Informazioni sbagliate impediscono a molte persone di riconoscere e affrontare il problema in modo adeguato.
Nella classificazione più recente del DSM V, sono stati inseriti molteplici disturbi alimentari. I più conosciuti sono l’anoressia nervosa, la bulimia e il disturbo binge eating (da alimentazione incontrollata). L’anoressia nervosa venne descritta per la  prima volta nel 1694 da Richard Morton. Colpisce lo 0,6% ca. delle adolescenti e delle giovani donne dei paesi occidentali.  La bulimia nervosa venne descritta per la prima volta nel 1979 da Gerald Russel. Colpisce l’1% delle giovani donne e adolescenti, mentre è molto rara nei maschi. L’età di insorgenza dei disturbi alimentari si sta abbassando sempre più: ci sono casi di anoressia nervosa in bambine intorno agli 8-9 anni.

Quali sono le cause? La risposta non è semplice, perché in realtà ancora non si conoscono le cause dei disturbi alimentari. La ricerca più recente sembra indicare una combinazione di predisposizione individuale e genetica e fattori di rischio ambientali.
La società occidentale è sicuramente uno dei fattori di rischio generali in quanto la spinta verso la magrezza e il ruolo centrale della bellezza corporea sono diventati fondamentali. Infatti, da riviste di moda, dove sono presenti immagini spesso ritoccate di donne molto magre, programmi televisivi, si percepisce come la magrezza sia diventato un vero e proprio valore.

Diversi studi sono stati condotti negli anni, tutti rivolti alla dimostrazione di come immagini e modelli “perfetti”, provochino crescente insoddisfazione e spinta verso la ricerca di un corpo “da copertina”.
Per raggiungere questo ideale di magrezza, l’attenzione si sposta verso l’alimentazione. La dieta diventa l’unico modo per raggiungere questo ideale. Non è una dieta salutare, ma una dieta ferrea, determinata da regole rigide e estreme, ad es. saltare i pasti, eliminare intere categorie di cibi pensando che possano ingrassare, riducendo drasticamente le quantità. Questa rigidità può portare ad abbuffate alle quali seguono comportamenti di compenso estremi (vomito autoindotto, esercizio fisico eccessivo, uso improprio di lassativi o diuretici). Le regole dietetiche diventano sempre più rigide fino ad arrivare a non mangiare più in compagnia di altri, mangiare sempre e comunque meno degli altri, non assumere cibi di composizione calorica incerta o cucinato da altri, non mangiare quando non si è affamati o non si è consumato abbastanza, mangiare sempre più tardi possibile, non andare mai al ristorante o in pizzeria. Sono regole queste, che rendono impossibile qualsiasi tipo di relazione sociale.
Inoltre la denutrizione che ne consegue porta inevitabilmente a restringere tutti gli altri interessi (amicizie, scuola, sport...) fino a far diventare interesse centrale la preoccupazione per il peso, per la forma del corpo e per l’alimentazione.
Negli ultimi anni, questa ricerca di un corpo perfetto non riguarda più le sole donne, ma anche gli uomini, sempre più ossessionati dalla forma del proprio corpo, dalla loro fisicità e dall’immagine. Sembra che anche per il mondo maschile  la  fiducia in se stessi, l’autostima, l’autoefficacia, la sensazione di avere sotto controllo la propria vita e la propria vita sessuale passa per la forma del proprio corpo. Tuttavia, proprio come per le anoressiche il raggiungimento di tale obbiettivo diventa un’ossessione  e porta prima o poi a perdere il controllo sul proprio stile di vita.
I criteri della  bellezza maschile sono cambiati, anche  gli uomini sono bombardati da immagini di film, pubblicità e televisione che ritraggono uomini  più grandi dalla vita in su. Gli stessi giocattoli per i bambini mandano implicitamente messaggi che avere super poteri e super forza è ciò che conta e si ottiene solo con un corpo supermuscoloso. 
La dismorfia muscolare è una condizione emergente che colpisce soprattutto i culturisti maschi, sono ossessionati dall’avere un corpo muscoloso e scolpito. Si tratta di vere e proprie  compulsioni: passare ore in palestra, sperperando una quantità eccessiva di denaro in inutili integratori sportivi, anormali abitudini alimentari o anche abuso di sostanze. La crescita del body building  è stata legata ad una crescente preoccupazione per l'immagine del corpo tra la popolazione maschile. Si stima che, probabilmente, il 10% degli uomini che frequentano una  palestra hanno dismorfia muscolare, che vanno da forme  lievi a quelle più gravi.
Si parla di Bigoressia o Vigoressia, descritta per la prima volta da Harrison Pope Jr. È la malattia chiamata” fratello maggiore dell'anoressia nervosa”, perché il vigoressico desidera essere "enorme" mentre l'anoressica deidera essere "sottile". Si tratta di una condizione  sotto-diagnosticata, perché essere grandi e palestrati risulta socialmente accettabile.

Questo convegno si pone come obiettivo di informare e di come riconoscere i primi segnali di un comportamento anomalo che potrebbe portare allo sviluppo di un disturbo alimentare. La prevenzione o l’intervento precoce sono fondamentali per riuscire ad arrestare il dilagare dei disturbi alimentari.

Dott.ssa Vanessa Pacelli Biologa Nutrizionista

Dott.ssa Ofelia Panico Psicologa Psicoterapeuta

IL CIBO TRA GUSTO E SALUTE



Gli aspetti psicologici dell’alimentazione sono stati spesso sottovalutati, nonostante al cibo siano legati vari significati emotivi, dipendenti dall’ educazione culturale e religiosa, dalle esperienze personali. Forzare i bambini a mangiare, rimproverarli a tavola, avere eccessive pretese circa i comportamenti da avere durante i pasti, le discussioni tra gli adulti a tavola, fanno sì che il bambino associ il cibo a ricordi sgradevoli.
Le preoccupazioni per l’alimentazione di un bambino sono comuni in tutte le culture, ognuna di esse offre diverse interpretazioni e risposte. Tali preoccupazioni sono legate alla normale crescita del bambino e dipendono dal modello di sviluppo evolutivo proposto dalla propria cultura di appartenenza.
Il cibo è, fin dalla nascita, uno dei principali mediatori nella nostra relazione col mondo, non ha solo un valore nutritivo ma anche emozionale, educativo, formativo ed ha un suo ruolo aggregante, sociale e culturale. L’alimentazione, infatti, ha un significato relazionale dall’allattamento in poi. Vediamo, dunque, quanto risulta importante avere una buona educazione alimentare.
La competenza alimentare evolve parallelamente allo sviluppo della mente, della reattività emozionale, delle competenze sociali.  Il cibo è buono da mangiare ma anche da sentire e da  pensare, i  bambini, infatti, non mangiano solo con la bocca ma anche con tutti i sensi.  È fondamentale educare il bambino fin dall’infanzia ad acquisire un rapporto sereno con il cibo. Mangiare per un bambino significa anche porsi in relazione, accettare, fidarsi, conoscere e sperimentare. I genitori hanno la responsabilità dell’alimentazione propria e dei propri figli, soprattutto dello stile alimentare, del rapporto col cibo e dell’accudimento nei momenti legati al cibo.
Nei primi due anni di vita, il bambino impara da una parte ad esplorare il suo ambiente, e dall’altra si trova a dover gestire l'ansia da separazione dalle proprie figure genitoriale;  contemporaneamente a ciò, il bambino impara a controllare anche quanto e se mangiare. In questa fase, il compito di un genitore dovrebbe essere quello di incoraggiare la conoscenza di nuovi cibi e permettere l'esplorazione degli alimenti, fornendo una struttura, una routine e dei confini sicuri, definendo cosa e dove mangiare.
Dal terzo anno di vita, il bambino ha una maggiore gestione del corpo e delle sue funzioni, può esprimere avversione per alcuni alimenti, e cerca costantemente di affermare se stesso facendo le cose in modo diverso ed autonomo. Il compito di un genitore è quello di  mantenere un rapporto positivo e neutro rispetto al cibo, rappresentare un modello a tavola da seguire, favorendo le interazioni sociali al momento del pasto.
Se aiutiamo il bambino a costruire un’adeguata competenza alimentare, avremo contribuito a crescere un adolescente con un sano e funzionale rapporto con il cibo.
A tavola, infatti, non portiamo solo alimenti e bevande, portiamo molto della nostra cultura di appartenenza e tanto della nostra educazione alimentare; il nostro senso comune e familiare influenza molto il nostro modo di mangiare, e la tavola diventa una grande occasione educativa, ma non dovrebbe diventare il luogo di lezioni educative. Il pasto in famiglia è una sintesi di molti aspetti perché oltre al cibo entrano in gioco la cura, le attenzioni per gli altri e le relazioni interpersonali; spesso è il momento in cui emergono conflitti su cui i bambini e gli adolescenti non hanno altro modo di richiamare l’attenzione, e spesso la necessità di pasti veloci e semplici rischia di ricercare soluzioni veloci e semplici ai problemi che hanno a che fare con l’alimentazione. Il cibo, infatti, non è amore. Se usiamo il cibo per premiare i bambini e dimostrare il nostro affetto, insegniamo loro  ad utilizzare il cibo per far fronte allo stress o altre emozioni.
I bambini fanno come vedono fare, siamo il loro modello a tavola. Per insegnare delle buone abitudini alimentari, dobbiamo AVERE delle sane abitudini alimentari.
La connessione tra fattori emotivi e alimentazione deve essere sempre ricordata, dunque,  da tutti coloro che si interessano della preparazione dei cibi, sia nell’ambito familiare che della comunità, poichè se non tenute nella giusta considerazione, possono portare a condizioni psicologiche e affettive di malessere fino a sfociare nella psicopatologia, di cui sono esempi piuttosto significativi molte forme di obesità dell’infanzia e dell’adolescenza e di tutti i disturbi del comportamento alimentare.

Dott.ssa Vanessa Pacelli Biologa Nutrizionista

Dott.ssa Chiara Bruschi Psicologa Psicoterapeuta